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Mendrisiotto

bollettino N 14 giovedì' 18 ottobre 2018

19 ottobre 2018

Sala Moscacieca. Esperienze al buio.» è una proposta della Unitas (Associazione ciechi e ipovedenti della Svizzera italiana), che viene presentata presso il centro diurno Casa Andreina a Lugano. Ha lo scopo di far conoscere il mondo delle persone cieche e ipovedenti ma anche di offrire al pubblico un'esperienza unica di riscoperta degli altri sensi.

Durante l’aperitivo ci è stato consigliato di spegnere i telefoni, togliere gli orologi, ed non lasciare (una volta in sala moscacieca) borse e giacche appese sullo schienale delle sedie.

«Davanti a voi avrete a destra il bicchiere del vino e a seguire quello dell’acqua, una bottiglietta di acqua e il cestino del pane». Messa così non sembrava difficile.

Siamo entrati nella sala più nera del nero attaccati l’un l’altro come gechi a mò di trenino a gruppi di 5, guidati in alternanza da Marco, Tamara e Michelangelo (ciechi o ipovedenti).

Quasi subito ci siamo resi conto che la mancanza della vista ci faceva alzare automaticamente il tono della voce e che dovevamo abbassarla se volevamo dialogare con i compagni di tavolata.

Dai toni delle voci ho capito chi era al tavolo con me e dove erano seduti (ma a scanso di equivoci ci siamo nominati), gli ultimi gruppi da 5 ho percepito che stavano entrando alla mia sinistra e si stessero accomodando alle mie spalle (sono andata avanti a crederlo fino a quando non sono state accese le luci: in quel momento mi sono resa conto di averli tutti di fronte..).

Una volta trovati a tastoni i miei bicchieri mi sono tranquillizzata, peccato che non riuscissi a trovare la forchetta. Visto che non poteva vedermi nessuno ho deciso che l’acqua l’avrei bevuta a canna perché quel bicchiere non sarei mai riuscita a riempirlo senza far danni.

Passati i primi minuti tastando il tavolo per capire se fosse rotondo e prima che un senso di malessere prendesse il sopravvento, Tamara Marco e Michelangelo ci hanno versato il vino e servito l’antipasto: ottimo, ma non semplice da mangiare né descrivibile completamente per il solo gusto.

Al termine della prima portata il senso di malessere si era affievolito per alcuni e acuito per altri: persone molto riservate hanno (finalmente) parlato per il resto della sera, persone solitamente allegre ed espansive non hanno proferito parola per oltre un’ora, qualcuno cercava di affogare il malessere in un paio di bicchieri, mia figlia che improvvisamente si innamora del vino rosso (mai tollerato in precedenza), io che inizio a vedere il cielo stellato e una casetta illuminata in fondo a sinistra (ho preferito non insistere perché non vorrei mai che gli amici o peggio mia figlia pensassero che faccio uso di sostenze che non uso).

L’intervallo tra il l’antipasto e il piatto principale è sembrato durare in eterno, e anche col secondo piatto la difficoltà era riuscire a mettere sulla forchetta il volume corretto di cibo: intanto mi stavo soffocando con una quantità eccessiva di purè poi, pur avendo preso vagamente le misure del piatto, non era per niente semplice passare da forchetta vuota a forchetta troppo piena e rispondere alla domanda «avrò mangiato tutto?».

Il dolce: favoloso. Non saprò mai cosa fosse ma a parte le castagne (che non amo e che ho faticato non poco a capire in quale punto del piatto fossero) l’ho trovato favoloso.

Spiegata così sembra sia stata una serata comica, vero ? Invece è stata un’esperienza di quelle che fanno riflettere a lungo e discutere fino a tarda notte sulle sensazioni provate, sul perché alcuni si e altri no, sull’utilità dei sensi ma anche di tutto quello che prendiamo per scontato, per avuto, per ovvio. 

E anche sul come mai noi, nonostante quanto sopra, riusciamo ad essere molto spesso immusoniti mentre Tamara (una bellissima donna, tra le altre cose), Marco e Michelangelo parlavano sempre sorridendo e non hanno mai smesso di sorridere, nemmeno per un attimo, per tutta la serata. 

Grazie Presidente per averci dato la possibilità di vivere una simile esperienza.

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